sabato 19 aprile 2008

Festival Internazionale del Giornalismo: a Perugia i mostri sacri del giornalismo mondiale

Carl Bernstein: “Un buon giornalista deve sempre cercare di ottenere la migliore versione possibile della verità”

Grande successo di pubblico ha registrato anche quest’anno il “Festival Internazionale del Giornalismo” che per cinque giorni, dal 9 al 13 aprile, si è tenuto a Perugia. La manifestazione, giunta alla sua seconda edizione, ha l’ambizioso obiettivo di mettere a confronto di diversi tipi di giornalismo mondiale.
L’edizione 2008 del Festival ha visto la partecipazione di un pubblico composto soprattutto da giovani che, attratti dalla professione giornalistica, non si sono fatti scappare l’occasione di “incontrare” alcuni dei mostri sacri del giornalismo mondiale, a cominciare dal fondatore de La Repubblica, Eugenio Scalfari, che ha aperto la manifestazione con una lectio magistralis sul mondo dei media e sul ruolo dei giornalisti.
La manifestazione si è poi snodata in diversi appuntamenti, tutti contraddistinti dalla presenza di prestigiosi giornalisti, a partire dall’inviata sui fronti di guerra del The Daily Mirror, Ann Leslie, per poi passare a Barbara Serra, conduttrice di Al Jazeera International, Gad Lerner, Lilli Gruber, Ezio Mauro, Marco Travaglio, Peter Gomez, per finire, ma la lista sarebbe ancora lunga, con Bachi Karkaria, vicedirettore del quotidiano The Times of India, Evan Cornog della Columbia University Graduate School Of Journalism e Knut Royce, vincitore per tre volte del premio Pulitzer.
Particolarmente interessante l’incontro dal titolo “Media e potere”, tenutosi giovedì 10 aprile, nel corso del quale si è analizzato il rapporto tra media e potere cercando di capire se i primi sono “ostaggi” del lavoro degli spin doctor, professionisti della comunicazione che lavorano per la politica.
Protagonisti del dibattito, Carl Bernstein, il giornalista americano che, insieme al collega Bob Woodward, con i suoi articoli per il The Washington Post, fece scoppiare il caso Watergate, che, nel 1974, costrinze alle dimissioni l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon; Alastair Campbell, considerato uno dei migliori spin doctor, che ha ricoperto questo ruolo durante il periodo di governo dell’ex primo ministro inglese, Tony Blair; Marcello Foa, inviato speciale de Il Giornale ed autore del libro “Gli stregoni della Notizia” nel quale ha analizzato criticamente il ruolo degli spin doctor. Nel ruolo di mediatore Angelo Mellone editorialista de Il Messaggero.
«Il lavoro dei giornalisti è quello di cercare di ottenere la migliore versione possibile della verità». Con queste parole esordisce Carl Bernstein, «un buon giornalista deve saper ascoltare, deve essere in grado di valutare le proprie fonti, le comunicazioni offerte ai media dagli spin doctor devono essere considerate soltanto il punto di partenza dal quale iniziare il lavoro di ricerca che sta alla base della professione giornalistica. Molto spesso però – continua – i giornalisti sono pigri, si limitano a riportare le notizie che provengono dalle fonti ufficiali, hanno perso la voglia di indagare, di scavare più in profondità». Un esempio lampante di questo atteggiamento è stata, secondo Bernstein, la guerra in Iraq. «Nei mesi che hanno preceduto l’inizio del conflitto, - sostiene – i media americani hanno abbandonato l’importante ruolo di guardiani del potere finendo per offrire, al presidente Bush ed ai suoi collaboratori, una cassa di risonanza per quanto riguarda le presunte armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. I giornalisti americani – continua – sono riusciti a rifarsi solo dopo la fine della guerra, grazie al loro lavoro, infatti, si è scoperto che Saddam Hussein non aveva armi segrete e che il dittatore iracheno non aveva legami con i fondamentalisti islamici e non c’entrava nulla con l’11 settembre».
In sostanza Bernstein non ritiene che il malessere dell’informazione sia data dal lavoro, legittimo, degli spin doctor, piuttosto, ribadisce che «la cattiva informazione è data soprattutto dalla pigrezza dei giornalisti».
Critico rispetto alla posizione di Bernstein, Marcello Foa. L’inviato de Il Giornale ritiene invece che «sono proprio gli spin doctor a manipolare le informazioni fornendo ai media solo la versione ufficiale dei fatti che, non sempre, anzi quasi mai, rispecchia la verità. Quando poi le persone si rendono conto che ciò che gli è stato detto è falso – continua Foa – si innesca in loro quel fenomeno che sta alla base della perdita di fiducia nelle istituzioni e negli stessi media che contribuisce a svuotare il concetto stesso di democrazia».
Parte sulla difensiva, invece, Alastair Campbell, che, da ex spin doctor, cerca di difendere quello che è stato il suo lavoro fino a poco tempo fa dalle critiche di Foa. «Ritengo che sia legittimo che i leader politici abbiano delle persone che curino la loro comunicazione – sostiene – specie nelle nostre società in cui i media ricoprono un ruolo sempre più importante. Il compito degli spin doctor – continua Campbell – è quello di far conoscere alla gente cosa sta facendo il governo, questo non significa però che ciò che viene detto sia falso, al contrario, sono spesso i giornalisti a pensare che nelle parole dei politici e degli spin doctor ci sia la volontà di nascondere la verità. Io ad esempio posso garantire che Tony Blair non ha mai mentito agli inglesi e al Parlamento».

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